“Gold Seeker” portraits

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LA FEBBRE DELL’ORO

Chi si sporca più a cercare oggi.
Presi da meccanismi di onnipotenza, immersi in tutto ciò che già possediamo e che mai ci basta. Mai ci basta. Si va a prendere dove già sappiamo che c’è. Senza troppi sforzi.
Ai pionieri veniva la febbre. Deliravano. Dopo mesi, anni, passati con le gambe a mollo nei corsi d’acqua in cerca di pepite gialle.
Sperando di trovare ciò che avrebbe cambiato il corso della loro esistenza. Per affrancarsi dalla miseria, venivano colti da una miseria ben peggiore. Quella della perdizione di sé. Della totale identificazione nell’oggetto dei “l’oro” desideri. L’Oro…
Diventavano loro stessi una pepita d’oro. Una moltitudine di gente, di emigranti, di cercatori, di bisognosi, di avidi, di galeotti, di padri di famiglia, fratelli, mariti …in cerca… con la fede pregavano, la speranza di trovare…
Volti provati, sporchi. Occhi spalancati, occhi stanchi, allucinati, deliranti per il barlume di un sogno: uscire dalla povertà. Trovare di che sopravvivere, ma tutto sommato sognare. Sognare un’esistenza migliore, più bella, vivibile. Un’ esistenza decente.
Cosa resta oggi dei sogni? Cosa resta dell’oro? Non c’è più oro. Non c’è quasi più niente. Il nostro mondo sprofonda. La nostra cultura dorata sprofonda, ebbra di sé, crolla.
Cercavamo l’oro, ma credevamo di cercare la felicità. Quindi? Ci siamo confusi, è vero, ci siamo sbagliati, perché l’oro e la felicità sono cose distinte. Anche i bambini lo sanno.

Paola Iezzi

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Le fotografie sono di Paolo Santambrogio;
i ritratti sono stati realizzati in Sardengna, nel Sulcis.

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GloriaMaria Gallery opening

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A Milano, in Via Watt al 32, nasce un nuovo spazio dedicato all’arte: GLORIAMARIA GALLERY, fondata da Gloria Maria Cappelletti.
Gloria, da sempre vicina al mondo dell’arte, dopo aver lavorato per molti anni nell’industria della moda e per diverso tempo come agente di fotografi, decide di dedicarsi completamente a questa sua nuova impresa.
La Galleria viene inaugurata Giovedì 3 dicembre con la mostra “THE PYRATE BAY” dell’artista greco Miltos Manetas, da anni amico di Gloria Cappelletti. La mostra è curata da Daniela Palazzoli.
Si tratta di alcuni quadri ad olio raffiguranti tutti lo stesso soggetto, ovvero un galeone pirata. All’interno del quadro Miltos Manetas ha inserito un hard disk con un uscita USB; chiunque portando il proprio laptop può connettersi e scaricare contenuti multimediali che appartengono all’artista e alla sua vita; come i suoi dischi preferiti, i film, le foto ed altro.
Il concetto alla base della mostra è il “Piracy Manifesto“, che tratta il tema di internet e della pirateria.
A proposito di internet vi linko anche un altro “Internet Manifesto”, scritto da alcuni blogger tedeschi che riguarda il ruolo del giornalismo sulla rete.
Il tema è molto interessante e sicuramente molto attuale. Merita attenzione ed approfondimento. Tutti noi dovremmo sempre più confrontarci con la rete e con il suo sistema. Nel mio settore in particolare, temi come quello del copyright, della condivisione della musica e dei videoclip, saranno cruciali per l’evoluzione e la sopravvivenza degli artisti e della musica.
E’ tutto e sarà tutto molto veloce, per questo credo sia molto importante restare aggiornati e pronti ai cambiamenti.

gloriagalleryIn alto a sinistra l’ingresso della galleria, a destra Gloria Cappelletti, Alice Gentilucci, io e Marcelo Burlon. Sotto le opere di Miltos Manetas esposte alla mostra.

Hallowood Circus Party 2009 – Milano

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Milano, 31 Ottobre, Halloween. Tutti al meraviglioso party di Giampaolo Sgura, Miguel Marnau e Marco Braga. Il tema…udite udite… è IL CIRCO… e quindi… libero sfogo alla fantasia. Perché il circo non è niente altro se non la materializzazione del sogno, dell’onirico. E’ l’ambiente dei visionari, dei poeti, degli acrobati, dei romantici.hallowood2hallowood3Di coloro che vivono la vita sospesa a mezz’aria tra ciò che è reale e ciò che puoi solo sognare, esattamente come fa un trapezista, esattamente come un equilibrista, come “l’uomo che cammina sui pezzi di vetro” o “la donna cannone”, come il domatore di leoni, o la ballerina, il sollevatore di pesi, come gli animali agghindati con berretti, accessori e paramenti (e dunque sogno anche loro) o come il tiratore di coltelli e la sua bellissima donna come tirassegno vivente,come il presentatore o i clown, i pierrot, come i nani che, esclusi da una  società che non accetta la diversità, diventano speciali nel senso più alto del termine, e trovano il loro senso nell’espressione artistica che il circo rappresenta.
Tutto l’ideale, tutto l’impossibile e dunque… ”Venghino siorre e siorri, venghino al zircoooo!” in un turbinare di crinoline, maschere, parrucche,carte da gioco, evoluzioni, pop corn, barboncini giganti su pattini a rotelle, majorettes, donne barbute, uomini sui trampoli,musica, un po’ di assenzio e polvere di stelle, ecco materializzarsi a Milano, in via Mecenate, la rutilante meraviglia di “Hallowood”, il circo di un anno, il 2009, che finalmente termina. Un anno di crisi, di sofferenze, di cataclismi e di… sottrazione. E naturalmente e, come sempre, la sottrazione aumenta il desiderio del sogno e riavvicina quest’ultimo agli uomini. Lo rende quasi tangibile, così, la fantasia, un po’ ottenebrata, messa da parte, quasi snobbata, immancabilmente si riaccende più viva che mai.
Perché il circo è in tutti noi. Il circo non si dimentica.
Questo siamo stati il 31 ottobre ad Hallowood il “non luogo” del “tutto possibile” 😉

Il mio make-up è opera di Letizia Maestri, lo styling di Ivo Bisignano;
le foto sono prese da Facebook

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E’ morta la poetessa Alda Merini, cantò il dolore degli esclusi

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E’ morta ieri a Milano la poetessa Alda Merini. Aveva 78 anni. Protagonista della scena culturale italiana, e considerata la più grande poetessa italiana vivente, era ricoverata all’ospedale San Paolo (la camera ardente sarà allestita a Palazzo Marino) da una decina di giorni per un tumore osseo. Viveva in condizioni di indigenza – per scelta – tanto che i pasti quotidiani le venivano portati dai servizi sociali comunali. Ha cantato gli esclusi e ha vissuto la malattia mentale. Le esequie si terranno mercoledì 4 novembre in Duomo a Milano: funerali di Stato, ha annunciato il sindaco Letizia Moratti dopo il via libera del Consiglio dei ministri.
Negli ultimi anni il suo volto era divenuto popolare anche al pubblico televisivo. Frequenti le sue apparizioni, con quella voce arrochita dal fumo, con parole e pensieri profondi e a tutti comprensibili. Grazie a lei, molti si erano avvicinati alla poesia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è detto profondamente rattristato della sua scomparsa: “Viene meno un’ispirata e limpida voce poetica”.
Nata in una famiglia poco abbiente (il padre era impiegato in una compagnia di assicurazione, la madre casalinga) la Merini esordì appena quindicenne con la raccolta La presenza di Orfeo curata dall’editore Schwarz. E mentre già attirava l’attenzione della critica, la giovanissima Alda incontrava difficoltà nel mondo della scuola “normale”. Venne infatti respinta quando tentò di entrare al liceo Manzoni. Dissero che non era stata sufficiente nella prova d’italiano. Da quel momento la sua vita è sempre stata al confine tra il riconoscimento della sua eccezionale capacità poetica e la difficoltà dovuta alla malattia mentale, che nel 1947 la portò al ricovero, per un mese, nella clinica Villa Turro, a Milano. Lei stessa ne ha sempre parlato e scritto definendo la sua sofferenza psichica come “ombre della mente”. Con le quali, nel tempo, ha saputo convivere. Per certi versi, il dolore l’ha aiutata a scandagliare l’animo umano.
Così Alda Merini ha spiegato ad Antonio Gnoli l’uscita dalla malattia, in un’intervista a Repubblica.
“Per me guarire è stato un modo di liberarmi del passato. Tutto è accaduto in fretta. L’ultima volta che sono stata all’Istituto che mi aveva in cura per depressione mi è accaduta una cosa che non avevo mai provato. Una mattina mi sono svegliata e ho detto: che ci faccio io qui? Così è davvero ricominciata la mia vita. Ho ripreso a scrivere e ho perfino trovato quel successo che non avrei mai pensato di ottenere”. Sul successo Alda ride con voce roca e lenta e poi aggiunge: “Il successo è come l’acqua di Lourdes, un miracolo. La gente applaude, osanna e ti chiedi: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo? Penso che la folla, anche piccola, che ti ama ti aiuta a vivere. In fondo un poeta ha anche qualcosa di istrionico e di folle. Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte. Ma anche questo luogo oggi è distante. Mi capita a volte di rivederlo in sogno. Io sogno tantissimo. E tra i sogni ne ricorre uno: sono dentro a un luogo chiuso, e io che cerco le chiavi per uscire. Forse sono mentalmente ancora in quel luogo che mi ha ucciso e mi ha fatto rinascere. Mi sento una donna che desidera ancora. Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare”.
Fin dai primi anni del suo lavoro poetico, conobbe e frequentò maestri come Quasimodo, Montale e Manganelli che la sostennero e promossero la pubblicazione delle sue opere. Dopo La presenza di Orfeo (e alcune poesie singole pubblicate in diverse antologie), escono Nozze romane e Paura di Dio. La Merini, nel frattempo si era sposata con Ettore Carniti (1953) e aveva avuto la sua prima figlia Emanuela. Al pediatra della bambina aveva dedicato la raccolta Tu sei Pietro (1961).
Comincia qui un altro periodo difficile costellato di ricoveri dolorisissimi e di ritorni a casa sempre difficili ma anche allietati dalla nascita di altri tre figli. Con un lungo periodo al “Paolo Pini”. Dal 1972 al 1979 la situazione, a poco a poco migliora e la poetessa torna a scrivere. E, con grande coraggio, racconta in poesia e prosa la sua esperienza (“La Terra Santa”).
Rimasta vedova nel 1981, si risposerà con il poeta Michele Pierri (1983) e con lui andrà a vivere a Taranto e ancora incontrerà i fantasmi della sua mente. Nel 1986 tornò a Milano dove ha sempre vissuto fino alla morte. E di questo ultimo ventennio sono la maggior parte delle sue opere più note: “La vita facile”, “La vita felice”, “L’altra verità. Diario di una diversa”, “”le parole di Alda Merini”, “Folle, folle, folle d’amore per te”, “Nel cerchio di un pensiero”, “Le briglie d’oro” e tante altre. Compreso “Superba è la notte” un tentativo di Einaudi di sistemare le poesie scritte tra il 1996 e il 1999.
Sul suo sito, accanto alla foto con i capelli scarmigliati, lo sguardo profondo e l’immancabile sigaretta in mano, tre versi: “(Sono una piccola ape furibonda.) Mi piace cambiare colore. Mi piace cambiare di misura”.
I frati francescani di Assisi, raggiunti dalla notizia, si sono riuniti in preghiera: “La comunità francescana del Sacro convento di Assisi affida al Signore l’ anima della poetessa Alda Merini e partecipa al dolore di chi sta soffrendo per la sua perdita”. Lo ha detto il custode del Sacro convento, padre Giuseppe Piemontese.
Tra la Merini e i francescani, infatti, c’era un rapporto particolare che, in qualche modo, faceva parte del suo più recente modo di essere con quella sua straordinaria apertura al mondo più semplice e alle altre arti meno “colte”. Circa due anni fa, infatti, nella Basilica superiore, si tenne un concerto di Lucio Dalla ispirato ai versi di Alda Merini. Lei ne era orgogliosa e i francescani si erano innamorati di questa donna e del suo modo scontroso ma dolcissimo di esistere.

larepubblica.it


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Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini (Terre d’Amore, 2003)


Sono molto irrequieta quando mi legano allo spazio

A volte Dio uccide gli amanti perchè non vuole essere superato in amore

La calunnia è un vocabolo sdentato che quando arriva a destinazione mette mandibole di ferro

La vera misura dell’uomo è la pace

Alda Merini (Aforismi)



Sito ufficiale di Alda Merini

Thomas Bayrle Exhibitions – Cardi Black Box – Milano

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Milano, Cardi Black Box in  Corso di P.ta Nuova al 38; inaugurazione della mostra di Thomas Bayrly.
“Nasce a Berlino nel 1937, vive e lavora a Francoforte. Thomas Bayrle è stato uno dei fondatori del movimento pop in Germania insieme a Sigmar Polke e Gerhard Richter, ed ha influenzato la scuola di Francoforte sia come artista che come insegnante per più di trent’anni.
Il lavoro di Bayrle in printmaking, collage fotografico e disegno è stato chiamato “Piranesi-esque” con i suoi complessi, micro/macro patterning che generano quasi una sineddoche visuale: figura retorica dove per indicare l’intero si nomina una sua parte o viceversa. Aree diverse della conoscenza, in senso lato, come la nanotecnologia, la cibernetica, la pornografia, l’urbanistica e la pubblicità offrono le fondamenta, l’impulso e la materia prima della pratica di Bayrle. Attraverso le relazioni di punto e griglia o cella e condotto, l’artista crea sovrastrutture illustrate che analizzano le strutture sociali che noi occupiamo. Bayrle costruisce immagini architettoniche, tecnicamente innovative che perturbano la percezione attraverso il loro iconoclastico uso di forme. Oltre ai suoi lavori a due dimensioni, l’artista produce anche sculture: modellini di cartone di piste per moto che suggeriscono un qualche genere di sovrastruttura d’ecologie urbane” (fonte WikiARTpediA)
Arrivo alle 20.00 circa. La galleria è strapiena di gente tanto che pare più l’attesa di un concerto. Positivo. Si respira un’aria internazionale e l’arte interessa e non annoia. Incrocio il mitico Elio Fiorucci immediatamente all’ingresso e, dopo qualche foto di rito, mi addentro per dare un occhio alle opere, che sono belle e curiose. Per vedere il soggetto “esterno” (diciamo così) ti devi allontanare sufficientemente, per vedere quello “interno” (riprodotto in serie ordinata per comporre l’opera) devi avvicinarti parecchio. bayrle4 Per di più ci sono i colori, pop, acidi, fluo… molto 60’s. I micro soggetti sono tazzine, bottiglie, la mucca (o il toro) con gli orecchini che ride, un microprofilo di donna, un telefono, una camicia piegata, un paio di scarpe maschili. I macro soggetti sono ritratti, una bottiglia, scritte, una donna stesa che prende il sole a rimini (dice la didascalia) , un’operaia che lavora il cotone, un martello, un’oca. Oltre ai quadri c’è uno stand pieno di impermeabili di plastica trasparente stampata e poi un impermeabilone gigantesco appeso al soffitto di colore rosso (sempre trasparente di plastica). Divertente, concettuale, dinamico, poetico Bayrle e…immancabilmente Pop. Al piano di sopra i temi predominanti sono l’urbanistica e l’eros. Da una parte (con piccoli e grandi quadri fatti con strisce di cartoncino e intersecate, come se fossero delle trame di tessuto ingrandite al microscopio) raffigurati città, strade e palazzi… Dall’altra parte della stanza, invece, predomina il tema dell’eros; quello che ha maggiormente attratto la mia attenzione, è una fellatio che ha (come soggetto interno) un micro fallo riprodotto innumerevoli volte.bayrle1Il sesso, ha sempre un potere di attrazione notevole, è evidente nel volto di chi osserva.Ma chissà come mai!!! Presente nella sala anche un ritratto doppio piuttosto grande (a colori e in bianco e nero) di Condoleezza Rice, sempre fatto con la medesima tecnica di strisce di cartoncino, che mi ha colpito molto.
Mi colpisce anche il volto di una donna messa a tre quarti con uno chignon di capelli  basso, praticamente identico a quello che io ho fatto questa sera. Per altro mi sento perfettamente a mio agio nel mio look Westwood, anche per la scelta dei colori e la fantasia a righe del mio top. Perfettamente inserita nel contesto circostante… mi piace questo elemento!!!
Ariscendo al piano di sotto e mi sparo l’unico drink che viene offerto, credo vodka, ma lo bevo appena. E saluto un po’ di amici… ammirando da lontano LIEBE BUTTER. Saluto finalmente anche Nicolò Cardi e mi complimento con lui per la mostra veramente bella; poi discutiamo dell’articolo uscito quella mattina sul Corriere della Sera: assurdo… “il vicinato della Cardi Black Box si lamenterebbe del chiasso causato dagli eventi della Galleria, e l’avrebbe per questo denunciata”. Mio Dio, ora, oltre ai concerti, alla movida notturna, manco più le mostre d’arte vanno bene a Milano?!?  E poi… sono le 8 della sera!!! Che disperazione questa città! Spero che non si trasferiscano tutti a New York, a Londra e a Parigi, condannando Milano ad un futuro grigio, triste e completamente privo di creatività! Ma perché, dico io, invece di lamentarsi non si infilano qualcosa e non scendono a vedersi un po’ di bei quadri… certamente gli farebbe un gran bene!

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Frieze Art Fair 2009 – London

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Ancora Londra, Sabato 17 Ottobre. Le previsioni annunciavano sole, invece il cielo è plumbeo e il freddo, aperte le finestre della mia stanza, è penetrante. Per svegliarsi è perfetto. Oggi  mi devo incontrare con Gilla per andare a vedere il Frieze Art Show che volge alla  sua conclusione.
Faccio una volata dal parrucchiere, il mitico Russel, e poi un salto a Portobello Market, dove tra la fiumana di gente e l’odore insopportabile di fritto e cibarie, adocchio su un banchetto, tipo gazza ladra, un meraviglioso paio di orecchini a clip vintage di Givenchy per la modica cifra di 5 £! Senza riflettere neppure per un secondo, naturalmente li compro. Poi, con la tube, torno in albergo e mi preparo.
L’appuntamento è alle 15.00 davanti all’ingresso principale di Frieze a Regent’s Park. Oggi a Londra c’è un traffico infernale ed è difficile trovare un tassì. Ma lo troviamo e in un minuto siamo diretti a Frieze!
Dopo un’iniziale misunderstanding seguito da telefonate del tipo “io sono qui, tu dove sei? “ “Hai presente l’ingresso ad arco tutto in legno pieno di lampadine” e roba del genere io e Gilla riusciamo a venirne a capo! Entriamo finalmente alla fiera. C’è parecchia gente. Le gallerie che espongono sono molte, tra le quali spicca la più rappresentativa e simbolica del Frieze Art Fair, la “White Cube” che ha al suo interno artisti come Damien Hirst, Marc Quinn (del quale vidi parecchi anni fa una personale alla fondazione Prada a Milano), Gilbert&George, Gary Hume e altri. Gilla mi porta subito lì. Ammiro alcune opere di Hirst che hanno sempre quel gusto obitoriale, da sala operatoria (peraltro in Bond Street c’erano i suoi famosi “teschi” in esposizione). C’è una teca piuttosto grande, dove si possono ammirare un sacco ferri per operazioni chirurgiche. La visione dell’opera di Hirst genera inquietudine e brivido insieme. Il suo lavoro sembra la rappresentazione artistica di un assassino seriale. Un odierno Jack The Ripper, Hannibal the Cannibal…
garyhume1Vengo poi immancabilmente attratta da un’opera di Gary Hume che rappresenta il volto di Jackson completamente bianco, inserito in una circonferenza, gli occhi sono asimmetrici e colorati d’ocra all’interno. La bocca rossa. L’opera è bellissima. Costa anche parecchio! Gilla mi ha spiegato che qui le trattative più grosse, con i compratori d’arte, si sono praticamente già concluse… Chi doveva comprare lo ha già fatto, anche se pare che un tasso alcoolico troppo elevato dovuto ad una distribuzione troppo generosa dei cockail, durante la vera giornata degli affari (la prima) non ha giocato a favore…  infatti i calzini della Puma sono rimasti lì, per terra, ancora in vendita! Strano a raccontarsi, e ancor più a vedersi, ma un artista, del quale, guarda caso,  mi sfugge il nome, ha presentato, come opera, un paio di (credo suoi) calzini usati, neri di Puma, buttati con noncuranza  per terra. Qualcuno, distrattamente ci ha anche camminato sopra non accorgendosi di calpestare una reliquia. Si, una reliquia del valore di ben 25.000 sterline. Provocazione da artista? Fatto sta che neppure l’eccessiva offerta di cocktail di benvenuto ne ha favorito l’acquisto e… te credo!
Per fortuna che, oltre ai calzini e un paio di sacchetti contenenti urine e delle piccole noci di cocco dentro in una teca di vetro, c’erano opere ed artisti interessanti. Alcuni neonisti molto bravi. Una foto (splendida e spettacolare) di Andreas Gursky  che ritrae un momento di una giornata all’interno della borsa saudita.andreagursky
Gilla poi mi mostra un’opera di Richard Long spiegandomi che Long è un fotografo e uno scultore inglese che sviluppa la sua arte in relazione all’ambiente circostante e che riguarda per lo più contesti paesaggistici e naturali. “ L’intento di Long è quello di accreditare la relazione tra l’uomo e l’ambiente come “fatto” creativo per eccellenza, intimo e primitivo, privo di ingombranti implicazioni volontaristiche e di ridondanti mediazioni artificiali”. Per questo si serve spesso di materiali (ad esempio fanghi) che trova nei diversi luoghi, durante le sue escursioni.
Mi è rimasta poi impressa un’opera di Ivan Navarro, artista cileno che realizza delle complesse sculture luminose. E’ stato uno dei primi ad utilizzare il neon come materia artistica. Navarro sviluppa il concetto di conversione dell’energia costruendo istallazioni con materiale di uso comune. Quello che abbiamo visto in particolare è un grande parallelepipedo nero lucido con, al suo interno, un diverso numero di  tubi di neon rosso allineati  orizzontalmente e sul fondo del parallelepipedo uno specchio che, con un’illusione ottica, moltiplica  all’infinito il numero dei neon, in modo tridimensionale, ampliando di fatto la percezione dell’ambiente in cui ci si trova. Davvero particolare a vedersi.
Altro (giovane) artista di spicco è Peter P. (Si fa chiamare così perché non vuole svelare la sua reale identità). Realizza piccole tele, ritraendo giovani fanciulli. Le sue opere si possono ancora acquistare a prezzi percorribili, ma ci sono esperti pronti a giurare che diventerà un artista quotatissimo.
Da segnalare anche la presenza della molto interessante galleria napoletana T293, che si presenta al Frieze  senza opere ma con  solo i cataloghi dei loro artisti e un particolare “stand” che diventa di per sé un’istallazione d’arte firmata da Pasquale Pennacchio&Marisa Argentato. Una stanza fatta con materiale di recupero e scaffali tipico delle vecchie botteghe. Quattro pareti di truciolato rivestito in plastica bianco ottico a buchini… Avete presente certe vecchie drogherie che ancora si vedono in  giro?… A starci dentro per un po’ e concentrandosi sui puntini, ti girava la testa!
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Tra gli artisti che rappresenta Marco Altavilla e la T293, mi colpisce in particolare l’opera in neon di Claire Fontaine “CAPITALISM KILLS LOVE”, che, secondo un  progetto e un intento preciso la galleria e gli artisti vorrebbero riuscire a fare mettere per qualche tempo sulla facciata nientemeno della FED, la banca centrale degli Stati Uniti!traceyemin
Vorrei infine citare l’inglese Tracey Emin, artista donna dal passato e le esperienze travagliate e drammatiche. Oltre ad utilizzare altre forme d’arte, dipinge ricamando la tela con ago e filo nero. Per lo più “dipinge-ricama” denunciando la violenza. La violenza sulle donne, violenza correlata all’esperienza sessuale. Fu violentata a tredici anni e per lei, da quel momeno la violenza è diventato quasi un fatto normale, dal quale non poteva né sapeva sottrarsi.“C’è violenza nel mio lavoro, soprattutto violenza contro le donne. Molti sono stati crudeli con me perché sono donna. Sono stata violentata a tredici anni da un ragazzino poco più grande di me. Si dovrebbe parlare più spesso di queste cose perché capitano anche agli uomini. È tempo di rompere questa catena di omertà: ecco perché nelle mie opere mi confronto spesso con l’adolescenza. È il momento in cui tutti possono farti ciò che vogliono”
La mia esperienza al Frieze Art Fair si conclude, così saluto e ringrazio Gilla Bertotti per l’invito e l’opportunità e  torno felice in albergo, felice perché l’arte (calzini di Puma a parte) ti solleva, anzi ti eleva ad uno stato superiore. Ti fa venire voglia di essere migliore, di essere più critico, più attento più ardentemente desideroso di eliminare la “spazzatura” dalla vita di ogni giorno. Per questo motivo è così importante!
Qui un video per chi vuole approfondire…

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Durante il Frieze, mentre mi intervistano con Gilla Bertotti al mio fianco, accanto ad un quadro stupendo di Gary Hume e nel salone adiacente allo stand di “White Cube”. L’outfit è di Ferragamo, borsa, scarpe e occhiali compresi!

Dream Hunters – The 14th Exhibition of Blue&Joy – London

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Che c’è di meglio di un week-end a londra per fuggire alla monotonia e all’angoscia di una città come Milano, dove gli spazi dedicati alla creatività e all’arte si riducono sempre di più? Così la mia partenza per london diventa più di un normale fine settimana di puro svago e shopping. Infatti parto mercoledì 14 ottobre.
Il 15 sono ospite dell’inaugurazione della mostra di Blue&Joy, al secolo Daniele Sigalot e Fabio La Fauci, amici ormai da parecchi anni, all’interno della boutique di Salvatore Ferragamo nella via dello shopping londinese, la meravigliosa Old Bond Street. E’ un cocktail che parte alle 18.00 e termina alle 22.00.
Giovedì arrivo all’inaugurazione verso le 20.30 e il negozio è già gremito di invitati ognuno con il proprio flute di champagne in mano. Le opere degli artisti un po’ ovunque e le modelle che sfilano su un catwalk “sali e scendi” la collezione autunno-inverno 2008-2009.
L’atmosfera è frizzante, ma rilassata. Saluto i ragazzi e mi complimento per l’allestimento e le opere davvero originali, come sempre. In particolare mi colpisce il cane gigante (che è un po’ il protagonista della mostra) , ricavato dal collage di migliaia di bottoni griffati “ferragamo”.
La serata prosegue tra chiacchiere, i sorrisi e le lacrime di Blue e di Joy, nuove conoscenze, musica, abiti e scarpe e occhiali in bellavista e incontro un sacco di insospettabili “fans” di Paola&Chiara che sono italiani, ma vivono e lavorano come professionisti a Londra da anni. Tutti si rivelano aperti e molto simpatici e dimostrano di apprezzare molto il look che ho scelto per questa sera. La cosa mi inorgoglisce non poco.
Al cocktail incontro anche Gilla Bertotti, che gentilmente mi informa che a Londra è in corso il “Frieze Art Fair” , una delle fiere d’arte più importanti del mondo. Gilla, super carina , si offre di “scortarmi” sabato alla fiera. Si occuperebbe lei di procurarmi un ingresso. Entusiasta all’idea, accetto più che volentieri!
Al momento dei saluti, la sensazione che mi porto via, nella mia stanza d’albergo, è che Londra sia bella, si, ma che l’Italia, a chi lavora e vive qui in maniera permanente, manchi e non poco…

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Nella foto io con i Blue&Joy, cioè Daniele Sigalot e Fabio La Fauci, all’interno della boutique londinese di Ferragamo. Il mio hair&make-up sono opera di Klare Ya Ya Wilkinson. Il mio outfit… Ferragamo naturalmente!

SHOWstudio: Fashion Revolution – Exhibition at Somerset House, London

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Presso la Somerset House (Strand, London WC2R 1LA) fino al 20 Dicembre 2009, in mostra SHOWstudio, il progetto web del fotografo e artista visivo Nick Knight.
SHOWstudio è un sito web creato nel Novembre 2000 da Nick Knight, “that has consistently pushed the boundaries of communicating fashion online”.
Nick Knight aggiunge “SHOWstudio is based on the belief that showing the entire creative process-from conception to completion-is beneficial for the artist, the audience and the art itself.”
Questo il tema della mostra: “our experience of fashion is changing. In these times of instant, digitally-fuelled information, the fashion image is no longer confined to the static world of the printed photograph. Today we are confronted with a dramatic new fashion universe, where photography, film, performance, music, art and technology combine to create an infinitely richer landscape”.
Grande spazio è dato alla video-arte come forma di comunicazione visiva moderna e di avanguardia. All’interno della mostra lavori di Alexander McQueen, John Galliano, Naomi Campbell, Gareth Pugh, Comme des Garçons, Kate Moss, Björk ed altri importantissimi artisti del mondo della comunicazione visiva. In alcuni giorni è possibile assistere a live-set fotografici di fotografi di moda tra i più importanti nel mondo.

Londra, Venerdì 16 Ottobre. Oggi  sono stata a vedere lo ShowSudio di Nick Knights sulla riva del Tamigi. Belle installazioni. Alcune cose sono davvero interessanti. La cosa che mi è piaciuta di più è stata  lo studio dove vengono spesso realizzati servizi fotografici dal vivo. Il pubblico della mostra può assistere da dietro alla vetrata dove fotografi come Nick Knights stesso scattano top model come naomi e mariacarla lavori veri e propi, come la cover di Vogue UK… peccato che oggi non fosse prevista alcuna “live session” … che jella!
Mi consolo, guardando le proiezioni delle precedenti. Alcune sono proprio belle. Resto ipnotizzata dalle immagini che hanno una dimensione vagamente voyeristica e anche un po’ fetish… in realtà un po’ più che vagamente e penso a cosa avrebbe combinato lì dentro uno come Newton…
Dopo aver visto una specie di corto  divertente , realizzato nel Backstage della sfilata “NO!” di Victor&Rolf, sono tentata di acquistare (nella parte merchandising) una fantastica carta da parati color carne con immaginette di atti osceni,  disegnati in rosso in stile ‘700, poi penso… ma che me ne faccio? però bella! “La lascio lì ed esco ritrovandomi davanti ad uno scatto triplo gigante di naomi che mi  saluta sparandomi con un silenzioso mitra al neon lampeggiante. Muoio un attimo e poi mi riprendo… fermo un taxi e ritorno verso il centro… a guardare lily donaldson così magra, mi è venuta una gran voglia di metter qualcosa sotto i denti!

Una riflessione: grazie a Nick Knights stasera ho scoperto che Kate Moss è riconoscibile anche soltanto dallo stampo del suo rossetto! Andate a vedere la mostra e capirete di che sto parlando 😉

È morto Irvin Penn

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Il fotografo statunitense Irving Penn (nella foto), famoso per le eleganti immagini di moda e per i ritratti in bianco e nero e soprattutto per le nature morte apparse su ‘Vogue’, è morto ieri, 7 Ottobre 2009, nella sua casa di New York all’età di 92 anni.
L’annuncio della scomparsa è stato dato congiuntamente dall’amico Peter MacGill, che era anche il suo agente, e dal fratello, il regista Arthru Penn.
Il fotografo fu sposato per 42 anni con la modella Lisa Fonssagrives, che fu suo soggetto di scatti di sofisticata bellezza fino alla morte avvenuta a 80 anni nel 1992. Il gigante della fotografia americana, come è stato definito, si affermò a 26 anni come assistente di Alexander Liberman per ‘Vogue’, rivista per la quale realizzò numerose copertine, fra cui la prima in still-life (natura morta) a colori per il numero dell’ottobre 1943. penn3Dopo la Seconda guerra mondiale, Penn lavorò ininterrottamente per la rivista realizzando ritratti, foto di moda e nature morte con cui ha definito un nuovo ”visual style” e lanciato l’estetica ”less is more”, cioè più si sottrae da un’immagine più essa può risaltare efficace e suggestiva. Penn ha scattato anche alcune delle foto-icone degli anni Sessanta, come quelle dedicate alla Beat Generation e alla ”Summer Love” del 1967. Sempre a quell’anno risale la celebre foto in cui sono in posa i motociclisti della gang ”Hell’s Angels”, realizzata in uno studio di San Francisco nel 1967.
Insieme a Richard Avedon, Penn è stato l’altro grande fotografo di moda del secondo dopoguerra (famose i suoi scatti per Marisa Berenson), a cui si ispirò anche il regista Michelangelo Antonioni per il protagonista principale del film ‘Blow-up’. Tra i suoi tanti ritratti di vip, spiccano quelli di Edmund Wilson, W. H. Auden, Spencer Tracy, Joe Louis e Duchessa di Windsor. Penn contribuì anche a far fare il loro ingresso sulle pagine di ‘Vogue’ a intellettuali e artisti come Willem de Kooning, Isamu Noguchi, Pablo Picasso e Italo Calvino. Le prime immagini Irving Penn e quelle successive dedicate al mondo della moda furono realizzate senza l’uso di elaborati espedienti tecnici, ma solo con l’ausilio di un fondale di carta e con la più semplice illuminazione possibile: fu proprio per questo che risultarono dei capolavori, riuscendo a legare in modo indistinguibile lo spirito della modella con l’abito che indossa. penn2Negli ultimi trent’anni Penn si è concentrato su ritratti a carattere etnografico, su nudi e studi sul colore, in particolare quello dei fiori. Penn può vantare la più lunga collaborazione con le testate della casa editrice Condé-Nast, che pubblica tra le altre riviste ‘Vogue’. A partire dal 1985 lavorò anche per ‘Vanity Fair’.
Irving Penn è considerato uno dei massimi rappresentanti del XX secolo di un genere di lunga e illustre tradizione come la natura morta, lo ”still life”. Il fotografo è sempre stato attento per prima cosa a stabilire una precisa distanza dal soggetto fotografato. Fisica e psicologica, che si tratti di fotografare attori, poeti, modelle, frutta o mozziconi di sigaretta.
I suoi soggetti sono sempre sistemati dentro spazi chiusi, stretti, a volte angoli di pareti costruite per l’occasione. Mai in esterni. Ne risulta un senso di calma concentrazione, e di claustrofobia. Il personaggio è come fisicamente limitato, ma i limiti spaziali per contrasto rendono palpabile la sua energia. I soggetti raffigurati nelle nature morte vanno dagli oggetti della pubblicità (come la serie ”minimalista” dedicata ai prodotti cosmetici realizzata per Clinique tra gli anni Sessanta e Settanta), ai cibi (reinventati per i servizi redazionali di ”Vogue”), agli animali morti ai quali il consumo impone nuove forme, ai materiali trovati per la strada (noti i suoi mozziconi di sigarette degli anni Settanta). A nature morte ”miserabiliste” che utilizzano scarti di materiali in decomposizione, avanzi, metalli, fino alle nature morte di costruzione più complessa che si rifanno al classico tema della vanitas, con ossa e teschi di uomini e animali, insieme a frutti, fiori ed altri elementi compositivi.

adnkronos.com

“Family Gardens” Editorial

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“Family Gardens” è un editoriale di moda nato da un’idea precisa e dalla collaborazione tra me, Paolo Santambrogio, il fotografo, e Vittoria Cerciello, la fashion editor.
Da tempo avevo in mente di realizzare una storia con i turbanti, ne ho parlato con Paolo che mi ha proposto di utilizzare i fiori; gli piaceva l’idea di vedermi “emergere” da fiori di vario genere.
Abbiamo coinvolto Vittoria, portandole degli esempi. A lei è piaciuta subito questa prima idea di partenza e ha suggerito di citare, di ispirarsi a “Grey Gardens” il celebre docu-film di Albert e David Maysles (1975) su una porzione della vita di Edith Bouvier Beale e Edith Ewing Bouvier Beale, rispettivamente le strampalate cugina e zia di Jaqueline Kennedy Onassis.
Trovata la location, una villa fanè dell’800 con uno splendido giardino all’italiana, abbiamo così cercato di trasformare, anche con l’aiuto della make-up artist Masha Brigatti, il mio look, per reinterpretare una sorta di Edith “Little Edie” Bouvier Beale odierna, suggerendo le tendenze moda dell’autunno-invero 2010 e, al tempo stesso, tentando di dare spazio ad una fotografia più libera e “artistica”. Il servizio è stato pubblicato dal mensile “Posh”, nel numero 32 di Settembre. Pubblico qui invece la versione integrale del servizio, completo di tutti gli scatti scelti.

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paolaiezzi.com, cominciamo…

Ciao a tutti, oggi inauguro qui un nuovo progetto. Box for creativity è uno spazio, un luogo “libero”, dove cercherò di dar “voce” a progetti creativi di arte, fotografia, moda, musica, design, web, …
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grazie, Paola Iezzi